“Squisito sapor in vellutata veste” fu, per anni, uno slogan per un prodotto senza reali pietre di paragone. Le pesche divennero il simbolo stesso di Canale, prima di un’evoluzione dell’agricoltura locale pronto a spostarsi progressivamente verso altri lidi, trovando “casa” anche nei paesi circostanti.
Un prodotto che reca con sé i crismi della storia e della dedizione al lavoro attento: come il principio del meirà ‘n sla pianta, per cui le pesche vengono raccolte tre giorni a settimana, dalle prime luci dell’alba, in modo da poter giungere immediatamente il banco del mercato impareggiabile freschezza.
Una pietra miliare, di pescheti che appaiono quasi come laboratori a cielo aperto: in cui è rimasta vitale l’epopea del “Grande Mercato del Pesco” ed in cui crescono rigogliose le varietà Fior di Maggio (o magiulin), San Giuvan, Morettini, Tabalet, Begnin, Baica Ben (o, per dirla in strettissimo canalese, Beicme-Ban), Vitu, Ala da Bosula, Gambun, Disered, Limunin, Aurora, Ala, Lenin (qualità per cui, in tempi di Dopoguerra e di “equilibri più avanzati”, alcuni ne convertirono il nome in De Gasperi), Gian de Puret e Michielin.
Tutte, ovviamente, elencate in ordine di maturazione e di raccolta.