Le prime note circa i funghi roerini risalgono addirittura al Medioevo: quando la Silva Popularis trovò per la prima volta la degna menzione nelle bolle imperiali, e subito nacque il mito attorno a quel prodotto saporito, nutriente, quasi misterioso alla portata di chi sa cercare, camminare, apprezzare.
Forse, senza saperlo, l’attitudine all’outdoor del Roero ebbe proprio qui i primi vagiti: dai disarmati cacciatori dell’alba o del crepuscolo, nella loro ferma e decisa cerca tra il fragrante e scurissimo “porcino” e dell’apparentato “porcinello rosso” e quello “nero”, qui anche noti con confidenziali soprannomi di “cravette”, “gambe siruline”, sino ai “gineprini” e alla “mazza di tamburo”.
Ogni cosa, cercando un’apparente chimera in questi boschi che la natura ha preservato da sé dal tocco antropizzante, in un quasi patto di pace tra uomo e ambiente: il cosiddetto “ovulo reale”, qui un sogno raro alla portata di mano di chi ha la costanza degli eroi.